Gli italiani a Rodi

La campagna del Dodecaneso altro non fu che la logica estensione del conflitto scatenatosi tra Italia e Turchia in seguito all’occupazione da parte della prima della Libia, l’ultima regione dell’Africa Settentrionale ancora soggetta alla sovranità della Sacra Porta. In seguito allo sbarco in Libia e alle inaspettate difficoltà incontrate dal Corpo di Spedizione italiano nel conquistare i punti chiave della Tripolitania e della Cirenaica (la reazione delle tribù libiche, armate e fiancheggiate da un folto numero di consiglieri militari turchi rese molto complessi il consolidamento e la penetrazione delle colonne all’interno del territorio), il Comando Supremo Italiano fu spinto ad effettuare, tramite l’apporto della Marina Militare, una serie di operazioni contro le forze ottomane lungo le coste del Libano, nel Mar Rosso e nell’Egeo settentrionale, centrale e meridionale. Alla fine del marzo 1912 Vittorio Emanuele III e i vertici militari diedero il via ad una serie di operazioni navali e di sbarco in Egeo. Manovre che avevano come scopo primario quello di costringere la Sacra Porta a fare cessare la resistenza in Libia e ad accettare di buon grado la sua stabile occupazione da parte dell’Italia. Infatti, secondo i piani di Roma, la conquista delle Sporadi meridionali avrebbe assunto un carattere “temporaneo”, in quanto si pensava di restituire le isole all’Impero Ottomano allorquando fosse cessata ogni resistenza in Libia. Il contingente, che ammontava a circa 9.000 tra ufficiali e soldati, venne posto al comando del tenente generale Giovanni Battista Ameglio. La squadra navale, alla quale sarebbe spettato il compito di trasportare e scortare dalla Libia a Rodi il Corpo di spedizione, venne invece affidata al vice ammiraglio Marcello Amero d’Aste Stella. Come programmato, all’alba del 4 maggio 1912, la squadra di Amero giunse del tutto indisturbata davanti a Kalithea. Prima di procedere allo sbarco del grosso delle truppe, l’ammiraglio, d’intesa con il generale Ameglio, inviò a terra un gruppo di marinai armati. Una volta sulla spiaggia, il manipolo effettuò un’accurata ricognizione dell’area e, dopo un paio di ore, non avendo riscontrato la presenza di alcun reparto nemico, segnalò alla nave ammiraglia il via libera. In breve tempo, l’intero Corpo di Spedizione toccò terra. Alla testa delle sue truppe, il generale Ameglio mosse verso nord. Verso sera, sul colle Koskino e in località Asguru, la marcia delle avanguardie a cavallo di Ameglio venne contrastata con assai poca convinzione da un reparto ottomano composto da circa 400 uomini. Battuti con facilità i turchi, le colonne italiane ripresero la loro marcia in direzione della ridotta di Psinthos, dove, secondo notizie pervenute ad Ameglio, il nemico stava concentrando tutte le sue forze. Nel frattempo, il cacciatorpediniere Alpino (comandante Gustavo Nicastro) si diresse sulla città di Rodi per intimare la resa al vali (governatore turco). Quest’ultimo, dopo avere preso tempo per decidere, fuggì però con una piccola imbarcazione a Lindos, porticciolo situato sulla costa occidentale anatolica dove, il 28 maggio, verrà catturato dai marinai del caccia Ostro. La mattina del 5 maggio, l’ammiraglio Leone Viale inviò a terra il contrammiraglio Camillo Corsi (suo capo di Stato maggiore) con l’incarico di prendere possesso dell’abitato di Rodi che, nel frattempo, era stato raggiunto dalle avanguardie del generale Ameglio e, alle ore 14 dello stesso giorno, un picchetto innalzò il tricolore sul vecchio castello turco posto a difesa dell’imboccatura del porto. Con la conquista dell’isola da parte degli italiani, il paesaggio urbano di Rodi venne modificato notevolmente. Esempi di quest’architettura sono l’Albergo delle Rose, dell’architetto Platania e, tra gli altri edifici moderni che circondano il porto di Mandraki, il Palazzo del Governo, opera del 1927 di Di Fausto, famoso per le antilopi che ornano le colonne dell’imboccatura. Si intrapresero, inoltre, numerosi restauri, che spesso scaddero in uno stile pseudomedievale, come nel caso del Palazzo dei Grandi Maestri, del XIV secolo, distrutto da un’esplosione nel 1856. Con lo scopo di servire come residenza al re Vittorio Emanuele II e a Mussolini, fu interamente riedificato, decorandolo con mosaici e altri materiali provenienti da costruzioni delle isole vicine, in uno stile piuttosto pomposo, a scapito del rigore storico. Una situazione analoga e’ quella della cattedrale di San Giovanni dei Cavalieri, del XIV secolo, ma ricostruita nel 1926 secondo il progetto della chiesa conventuale che fino al 1856 si trovava in uno degli estremi della via dei Cavalieri. Nella decorazione dell’interno spiccano le riproduzioni del San Giovanni di Donatello e quattordici sculture in pietra della Via Crucis, opera di Maraini. Tuttavia, fortunatamente, ne’ l’architettura orientale, ne’ questi lavori contemporanei sono riusciti a prevalere sui principi e sugli ideali dell’Ordine Ospedaliero che hanno lasciato la loro inconfondibile impronta su tutta la città , sia nei numerosi palazzi sia nelle istituzioni caritatevoli. Nel 1988 la città vecchia di Rodi e’ stata riconosciuta, dall’Unesco, Patrimonio dell’Umanità . Rodi, come le altre isole del Dodecanneso, non venne inclusa nei confini dello Stato Greco, nato in seguito all’insurrezione del 1821.


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